Il Futuro della Sinistra in Europa

Il Futuro della Sinistra in Europa

Discorso di appoggio alla nascita del Partito della Sinistra in Francia – Parigi, Novembre 2008 – di Oskar Lafontaine

Signore e Signori, Care compagne e Cari compagni!

È un piacere per me essere venuto a Parigi per dirigervi alcune parole, nel momento in cui vi preparate a ricostruire in Francia un nuovo partito di sinistra che merita senz’altro questo nome. In Germania, abbiamo fatto questo passo con grande successo. È proprio grazie a questa esperienza che sono venuto qui a incoraggiarvi nella scelta di intraprendere lo stesso percorso. So bene che la costellazione dei partiti politici tedeschi non è paragonabile a quello francese. Ma oggi, la società francese e quella tedesca non differiscono profondamente l’una dall’altra. I problemi economici, politici e sociali che si pongono nei nostri due paesi sono praticamente identici. Non vedo dunque nessuna ragione per cui un nuovo partito di sinistra non debba avere le stesse possibilità di successo in Francia così come è stato in Germania.

La Die Linke esiste da un anno e mezzo, i sondaggi, quelli attendibili, la attestano intorno al 12% o 13% a livello nazionale. Devo riconoscere che io stesso sono sorpreso da questo successo, nonostante queste cifre non riflettano realmente il raggio d’azione della nostra influenza politica. Il fatto che siamo qui, il fatto che esista in Germania un partito con un profilo politico e rivendicazioni sociali dichiaratamente di sinistra, ha costituito l’elemento in grado di cambiare l’orientamento della politica tedesca. E non sono solo io ad asserirlo. Quasi tutti i giornali tedeschi, di sinistra o di destra, che si rallegrino o si lamentino, hanno la stessa opinione. La maggioranza di essi concordano nello scrivere che siamo noi, la “Linke”, a incarnare il progetto politico di maggior successo degli ultimi decenni, che siamo noi che in realtà definiamo sempre di più l’agenda politica tedesca, che siamo noi che obblighiamo il resto dei partiti a reagire. Se reagiscono, se fanno proprie alcune delle nostre rivendicazioni, è per paura dell’elettorato. E se il neoliberismo, così violento dal 1990, sta scomparendo in Germania, è dovuto in gran misura alla nostra presenza parlamentare.
Cari compagni, è evidente che la costruzione di un nuovo partito di sinistra non avrebbe potuto avere successo se le condizioni esterne, ovvero, la situazione politica e sociale della Germania, non fossero state favorevoli al progetto stesso. È quindi questa la prima ragione del nostro esito positivo. Mentre tutti i partiti politici dell’Ovest della Germania si contendevano il “centro” e proponevano una politica economica neoliberista, la maggioranza della popolazione tedesca lamentava la mancanza di un equilibrio sociale quale risultato di questa politica. Il vuoto nella sinistra all’interno dello spettro politico chiedeva solo di essere riempito. Non c’è niente di più efficace di una idea che incontra la sua epoca.

La seconda ragione del nostro successo è senza dubbio dovuta all’unione delle forze e delle organizzazioni politiche che si definiscono sulla base di una posizione critica nei confronti del capitalismo.
La terza ragione, forse la più semplice in quanto dipende esclusivamente da noi stessi, anche se non per questo meno importante, risiede nella volontà di dare al nuovo partito un profilo chiaro, in grado di differenziarsi dall’uniformità degli altri. Avrò modo di spiegare più concretamente questo concetto più avanti, ma vorrei parlarne da un punto di vista storico. È spesso utile fare un passo indietro per avere una migliore prospettiva dell’insieme.

Agli inizi della mia carriera politica, 40 anni fa, le posizioni dei partiti di sinistra in Europa erano ancora chiare e le loro missioni ben definite. Non c’era ancora questa uniformità centrista che i grandi partiti mostrano oggi giorno. Anche in Germania, dove la SPD, a Bad-Godesberg, decise di accettare il capitalismo, la sinistra e la destra erano chiaramente distinte dagli elettori.. La SPD aveva rinunciato al marxismo, è vero, ma aveva conservato nonostante ciò l’idea di riformare il capitalismo, di cercare la famosa “terza via” tra comunismo e capitalismo. Purtroppo, quell’ideale riformatore venne sotterrato dalle macerie del Muro di Berlino.

In Francia, le posizioni dei partiti della sinistra erano ancora più chiare, non solo dal punto di vista comunista, ma anche da quello socialista. Con l’appoggio alla guerra coloniale in Algeria, la SFIO perde alla fine degli anni ‘60 tutta la legittimità come partito delle sinistre. Nel 1971, nel Congresso d’Epinay, si forma un nuovo partito socialista sotto la direzione di François Mitterrand. Il programma del nuovo partito socialista francese differisce considerevolmente da quello che i socialdemocratici tedeschi avevano scelto dieci anni prima: è anticapitalista, è critico nei confronti della NATO ed è a favore delle alleanze con il partito comunista: tutto quello che non contiene il programma della SPD. Per questo, nell’Internazionale Socialista, il dibattito vede lo scontro tra Épinay e Godesberg. Sono tedesco, ma non vi nascondo le mie simpatie per coloro che stavano dal lato dell’ Épinay.

Condivido quindi, cari compagni, le vostre delusioni, perché a partire da questo programma teoricamente anticapitalista, la politica portata avanti dal governo Mitterrand non è stata in nessun modo più anticapitalista di quella del governo socialdemocratico in Germania. In Inghilterra, come in Germania, Spagna, Francia o in qualsiasi altro posto, la breccia tra la teoria e la pratica politica è sintomatica per la storia del socialismo dell’Ovest europeo. Quasi sempre e quasi in tutti i luoghi, i dirigenti dei partiti socialisti hanno abbandonato i loro principi come zavorre, spesso contro la volontà della massa di militanti, in cambio di un portafoglio al governo.
Ed è qui il grande dilemma dei partiti socialisti: l’aver formulato, per così dire, i principi di opposizione di Épinay ed i principi di governo di Godesberg. La storia dei partiti socialisti dell’Europa occidentale al potere è una lunga lista di compromessi marci. Cari compagni, bisogna uscire dal dilemma e rompere con questa tradizione fatale del compromesso marcio! Per un partito di sinistra, i principi del governo devono essere gli stessi che i principi di opposizione. Altrimenti sparirà molto presto.

Guardate l’Italia e la Spagna. La lezioni che la sinistra può imparare è che le ultime elezioni in questi due paesi hanno parlato chiaro: Izquierda Unida marginalizzata, Rifondazione Comunista eliminata. Questi due partiti hanno dovuto pagare molto cara la partecipazione al governo perché si fondava sul compromesso marcio! È molto assurdo, effettivamente, lasciare un partito a causa della sua linea politica, costruire un nuovo partito e successivamente formare una coalizione di governo con il partito che ha appena abbandonato i fondamenti della sua politica, motivo per cui si era deciso di lasciare il partito. Gli elettori non apprezzano per nulla questo tipo di scherzi e non si sbagliano.

Cari amici, se la sinistra perde la sua credibilità, perde la ragione del suo essere. È per questo che il mio partito, la “Linke”, ha preso misure per correggere questa tendenza fatale dei dirigenti verso il compromesso politico del quale ho parlato. Le decisioni sui grandi principi del nostro programma devono essere prese dall’insieme dei militanti del partito e non solo dall’assemblea dei delegati..
Ciò significa che non accetteremo donazioni che oltrepassino una determinata quantità, una quantità relativamente bassa. E credetemi, non è l’atteggiamento di chi rifiuta qualcosa perché comunque non l’otterrà. Significa semplicemente che non vogliamo essere corrotti. La corruzione politica è una disgrazia della nostra epoca. Ciò che chiamiamo donazione spesso non è che un modo legale per corrompere.

La vittoria elettorale di Barak Obama è una buona notizia, dal momento che la politica del presidente Bush e del suo partito è stata insopportabile. Ma visto le enormi somme che il capitale americano ha investito nella campagna elettorale del nuovo presidente, sono molto scettico in merito al suo futuro come riformatore. Il capitale non da mai niente senza chiedere.

Passiamo quindi a parlare del profilo programmatico che un partito di sinistra dovrebbe avere per quanto mi riguarda. Ho parlato prima delle mie simpatie, quaranta anni fa, erano per Épinay e non per Godesberg. Bé, lo sono ancora oggi. Anzi lo sono più che mai. Lo spirito anticapitalista che ha animato la sinistra francese negli anni 70 si impone ancora. Appare chiaro che una opinione pubblica manipolata al servizio del capitale ci suggerisce in tutti i modi possibile che la globalizzazione dovrebbe aver cambiato completamente le cose, che l’anticapitalismo è completamente superato dalla storia. Ma se analizziamo il processo economico e sociale che si sviluppa sotto i nostri occhi obiettivamente, ci rendiamo conto che la globalizzazione non ha dissipato ma aggravato i problemi sociali e le turbolenze economiche causate dal capitalismo. Se paragonate gli scritti di Karl Marx in merito alla concentrazione di capitale, all’imperialismo o alla internazionalizzazione del capitale finanziario alle stupidaggini neoliberiste propagate oggi giorno, constaterete che questo autore del XIX secolo è molto più attuale e illuminante che gli ideologi del neolibersimo attualmente in voga.

Cari amici, ora più che mai l’anticapitalismo è di moda, già che l’imperialismo agli inizi del XXI secolo è ancora reale. La NATO è strumentalizzata al suo servizio. Prima concepita come una alleanza di difesa, la NATO si è trasformata oggi giorno in una alleanza di intervento diretta dagli USA. Ora, la sinistra non può predicare una politica estera che abbia come obiettivo la conquista militare delle risorse e dei mercati. Non accettiamo l’imperialismo belligerante della NATO che interviene in tutto il modo violando il diritto internazionale. Siamo a favore di un sistema di sicurezza collettivo dove i soci si difendono tra loro quando vengono attaccati, ma si astengono da tutte le violenze che non sono conformi al diritto internazionale.

In Germania, la questione degli interventi militari ( sia in Kosovo o Afghanistan) è una linea di demarcazione chiara tra il mio partito (Die Linke) e tutti gli altri partiti, compreso l’SPD. Siamo intransigenti con loro e la nostra partecipazione a un governo favorevole agli interventi militari della NATO è inconcepibile. La questione della guerra o della pace è stata da sempre una ragione di scissione in seno al socialismo tedesco. Già nel 1916, sotto l’impulso di Rosa Luxemburg e di Karl Liebknecht, la guerra divise la socialdemocrazia tedesca in due parti. E non fu solo in Germania che la sinistra riuscì a mantenere la lucidità. Vi ricordo le parole di Jean Jaurès, che disse che “il capitalismo porta la guerra così come le nuvole portano la tormenta”. Compagni, se vogliamo un mondo di pace e in pace, bisogna civilizzare il capitalismo.

Contro l’ideologia della privatizzazione sostenuta dai portavoce del neoliberismo, manteniamo l’idea di una economia pubblica sotto il controllo democratico. Proponiamo una economia mista dove le imprese private, maggioritarie, affianchino le imprese nazionalizzate. Soprattutto le imprese che producono i beni per soddisfare i bisogni fondamentali per l’esistenza della società devono essere nazionalizzate; il settore energetico, per esempio o anche il settore bancario nella misura in cui sono indispensabili per il funzionamento di tutta l’economia.

Torneremo a mettere all’ordine del giorno la questione dell’autogestione operaia o della partecipazione degli impiegati nel capitale della propria azienda, questione che sembra oggi dimenticata.

Lottiamo contro una politica della de-costruzione sociale che da priorità agli interessi degli investitori e che ride davanti alla crescente ingiustizia sociale, alla povertà di molti bambini, ai salari bassi, ai licenziamenti nei servizi pubblici, alla distruzione degli ecosistemi. Lottiamo contro una politica che sacrifichi a favore delle rendite del capitale finanziario ciò che rimane di una opinione pubblica deliberativa. Non accettiamo la privatizzazione dei sistemi di protezione sociale, né la privatizzazione dei servizi di trasporto pubblico. Non accettiamo neanche la privatizzazione del settore energetico e ancora meno la privatizzazione del settore pubblico dell’educazione e della cultura. La nostra politica fiscale vuole ridare allo stato i mezzi per compiere le sue funzioni classiche.

Oggi, le forze motrici del capitalismo non sono gli imprenditori, ma gli investitori finanziari. È il capitale finanziario a governare il mondo e ad instaurare globalmente un’economia d’azzardo. La crisi dei mercati finanziari era quindi prevedibile e attesa dagli esperti.. Nonostante ciò i governi non hanno fatto niente per impedire questa crisi. Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, le élite politiche hanno giudicato utile la speculazione sfrenata. Il continente europeo si è chinato di fronte a questa idea. Persino durante i periodi nei quali la maggioranza dei governi europei erano formati da partiti affiliati all’Internazionale socialista, nessuna misura è stata presa. La perdita di una visione critica di fronte al capitalismo ha fatto fracassare purtroppo la politica opportunista dei partiti socialisti e socialdemocratici. Se c’era bisogno di una prova del fracasso, la crisi attuale dei mercati finanziari ce la sta fornendo.

E se c’era bisogno di una prova che noi, la sinistra critica, non siamo regressivi, che non peschiamo rimedi ai mali di oggi dal passato, come ci recriminano costantemente i liberali ed i conservatori, se c’era bisogno di una prova, anche in questo caso è la stessa crisi che ce la fornisce. Dagli inizi degli anni ‘90 e dalla successiva globalizzazione, la sinistra, incluso me stesso, non ha smesso di reclamare una regolamentazione dei mercati finanziari globali. Ma l’opinione pubblica neoliberale ha riso in faccia alle nostre opinioni tacciate di regressività. Che la logica della globalizzazione non fosse compatibile con una regolamentazione è stata la risposta che ci hanno dato. Ma soprattutto che non si poteva ostacolare il libero commercio e il libero flusso transnazionale del capitale; la regolamentazione era una soluzione passata di moda, regressiva. E adesso, cosa fanno i neoliberisti in America del Nord e Inghilterra, che fanno i conservatori in Germania e Francia? Be pretendono regolamentare. Coloro che ci hanno accusati di regressione politica quando chiedevamo la nazionalizzazione di alcuni settori bancari per evitare la crisi che fanno ora? Be fanno vedere che nazionalizzano tutte le banche in nome del futuro.

Adesso, si socializzano le perdite e si fanno pagare i gruppi più vulnerabili delle società per il fallimento del sistema. Adesso, si organizzano vertici internazionali pomposi per regolamentare i mercati finanziari. Ma non siamo degli innocenti: sono tutte parole. Chiuderanno il casinò? Assolutamente no! Cambieranno in modo radicale le regole del gioco all’interno del casinò? Certo che no!. Ciò che faranno, è elaborare con un gran frastuono di parole un nuovo codice di comportamento per i croupiers. In realtà non cambierà niente.
Se volete dei cambiamenti, compagni, bisogna ricostruire la sinistra, in Germania, in Francia, in tutte le parti d’Europa. L’esperienza tedesca ci insegna che una sinistra europea riorganizzata e forte può far cambiare le cose obbligando gli altri partiti a reagire. Costruiamo insieme questa nuova sinistra, una sinistra che ripudi i compromessi nauseabondi! Per riaffermare una volta ancora l’importanza di questa massima, voglio concludere on una immagine che prendo in prestito dal poeta russo Mayakovski: cantiamo insieme la nostra canzone, ma evitiamo di calpestarne la gola.

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