Il 7 ottobre il mondo si è svegliato con la notizia di una vera e propria insurrezione del popolo palestinese ben coordinata che ha completamente colto di sorpresa, demolendolo, il mito degli apparati di sicurezza e di spionaggio israeliani. Ma ha colto di sorpresa anche il resto il mondo, sia quello più ostile che quello più sensibile alla causa palestinese.
Il governo israeliano, i mass media e le cancellerie occidentali – le uniche ancora una volta schierate con Israele – hanno parlato di guerra. Alcuni aspetti dell’azione militare palestinese sono indubbiamente di carattere bellico ma il contesto appare più quello di una insurrezione popolare contro una pluridecennale e brutale occupazione israeliana che di una guerra tra eserciti convenzionali.
Quella tra palestinesi e israeliani non è mai stata una guerra simmetrica. La sproporzione di forze è stata sempre pesantissima, il bilancio delle vittime civili è sempre stato asimmetrico a sfavore dei palestinesi.
Lo stesso atteggiamento della cosiddetta comunità internazionale – troppe volte ritenuta limitata a Stati Uniti ed Unione Europea – non è mai stato equidistante o simmetrico tra le ragioni dei palestinesi e quelle di Israele. Al contrario è ricorso sistematicamente ai “due pesi e due misure”, liquidando tutti gli impegni formali presi nei decenni dalle Nazioni Unite verso il popolo palestinese e sostenendo esclusivamente e ossessivamente la supremazia della sicurezza e dell’espansione coloniale israeliana.
Solo la miopia occidentale e l’arroganza israeliana potevano ritenere che questo arbitrio consolidato e ripetuto per decenni non potesse prima o poi avere ripercussioni.
La Resistenza palestinese ha utilizzato emblematicamente la data del cinquantesima anniversario della guerra del Kippur nel 1973 per scatenare una insurrezione popolare a Gaza, in Cisgiordania e perfino nei Territori Palestinesi occupati dal 1948.
Il 1973 fu uno spartiacque per la storia del mondo capitalista occidentale e dei suoi satelliti. La guerra lampo di alcuni paesi arabi contro Israele prevalse in un prima fase ma fu poi sconfitta grazie al sostegno militare statunitense alle forze armate israeliane. Testimonianze significative, come quella del generale e politico israeliano Moshe Dayan, affermano che Israele era pronta a ricorrere alle sue armi nucleari stoccate nel sito di Dimona per fermare l’offensiva militare di Siria ed Egitto.
Ma di fronte al sostegno occidentale ed europeo a Israele, i paesi arabi produttori di petrolio dichiararono nel 1973 l’embargo sulle esportazioni scatenando la più profonda crisi economica del capitalismo occidentale, dalla quale – sostanzialmente – non si è più sollevato nonostante la controffensiva liberista avviata dagli anni ‘80.
Cinquanta anni dopo, le organizzazioni della Resistenza palestinese, dopo tre decenni di massacri, occupazione militare, oppressione coloniale, bombardamenti devastanti e la cui contabilità di morti farebbe impallidire qualsiasi persona di buon senso, ha dato vita alla terza insurrezione dopo le due Intifade precedenti (fine anni Ottanta e primi anni del Duemila).
Nonostante la pervasività dello spionaggio e dell’intelligence israeliane, nonostante la brutalità dei raid militari contro le comunità palestinesi a Gaza e Cisgiordania, nonostante l’asfissiante controllo militare israeliano, i palestinesi hanno colto di sorpresa tutti gli apparati di Israele con una azione militare coordinata che ne ha demolito il mito dell’invincibilità e l’ossessione della sicurezza.
I palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, nei Territori Occupati dal 1948 e nei campi profughi della diaspora sanno benissimo che la reazione militare israeliana sarà violentissima e, molto probabilmente, l’hanno messo in conto da tempo.
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Ma sono anni ormai che i palestinesi gridano al mondo che l’unico modo per esistere e vedersi riconoscere i propri diritti è quello di resistere. Lo hanno pacificamente con il Somud, lo hanno fatto militarmente con al Mukawama, lo hanno fatto con le pietre e con marce pacifiche mitragliate dai cecchini israeliani, pagando un prezzo in vite umane, prigionieri, mutilati che pochi paesi hanno pagato negli anni più recenti.
Adesso il mondo ha subito un brusco risveglio e la comunità internazionale dovrà dire e fare molto di più che dichiarazioni di circostanza e ulteriore complicità con Israele. Ed anche la sinistra italiana ed europea dovrebbero smettere di balbettare banalità e obsoleti luoghi comuni sulla questione palestinese. Tutti avremmo preferito sentir gridare agli insorti “Palestina libera” invece di invocazioni ad Allah, ma se questo sono contesto e forze in campo sarà bene cominciare a fare i conti con la realtà, riconoscendola invece di esorcizzarla o temerla.
Anche perché il mondo è cambiato rapidamente in questi ultimissimi anni. Il doppio standard utilizzato da Usa e Ue per agire nelle relazioni internazionali è diventato insopportabile a gran parte del mondo.
Ragione per cui sulla questione palestinese è tempo di impegni sostanziali nel riconoscimento dei diritti storici e di quelli attuali. L’insurrezione palestinese, seppur con caratteristiche simili ma diverse da quelle di una guerra convenzionale, ha posto il problema sul piatto, anche con il rischio che si scateni un conflitto regionale di dimensioni inedite rispetto a quelli precedenti.
L’insurrezione palestinese ha mandato un avviso di garanzia, sia alle autorità israeliane sia al mondo arabo, a quelle statunitensi ed a quelle europee. Il tempo dell’ipocrisia è definitivamente finito.