Il marxismo e l’era multipolare – Parte I. Leonardo Sinigaglia. Novembre 2024

Negli ultimi decenni il “marxismo occidentale” ha mostrato un’arretratezza teorica tanto profonda da impedire qualsiasi presa di coscienza sulla reale portata e natura dei cambiamenti delle grandi trasformazioni in corso a livello internazionale, derubricate a “scontro tra opposti imperialismi” quando non direttamente viste attraverso gli occhi di Washington come “aggressione degli autoritarismi contro la democrazia».

Per i marxisti del resto del mondo è in realtà chiaro come la nostra epoca segni una cesura profonda rispetto al passato, essendo caratterizzata da cambiamenti mai visti da almeno un secolo capaci di stravolgere profondamente l’architettura internazionale portando al superamento della fase imperialista del capitalismo attraverso la costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso.

La comprensione di ciò non è solo necessaria per afferrare correttamente la situazione presente, ma anche per rispondere politicamente in maniera organizzata ponendo correttamente le contraddizioni in ordine gerarchico e identificando quello che è il campo di battaglia principale, ossia quello collegato alla lotta per l’indipendenza nazionale dell’Italia, senza la quale qualsiasi progetto di riforma sociale non è altro che un vaneggiamento a-storico e slegato dalla realtà.

Questa serie di articoli mira a discutere di alcuni dei principali nodi teorici per arrivare a una migliore comprensione della fase presente e della natura degli attori che la caratterizzano.

1- L’evoluzione storica del socialismo

Il materialismo dialettico concepisce l’universo come  “un movimento della materia, retto da leggi”, che si riflette nella nostra conoscenza, “prodotto superiore della natura”[1]. Il pensiero è riflesso di questa realtà, ed è perciò anch’esso in un processo di continuo movimento e trasformazione. Al modificarsi della realtà materiale non può che corrispondere una trasformazione del pensiero.

Essendo il nostro pensiero il riflesso della realtà materiale, noi possiamo arrivare alla comprensione oggettiva di questa. Il pensiero umano è espresso però da singoli individui, che non possono che avere una conoscenza relativa, limitata dal tempo e dallo spazio, oltre che dallo stato di sviluppo della società e delle sue forze produttive e scientifiche.

La realtà oggettiva può essere conosciuta come somma di verità parziali, che storicamente si perfezionano in un’approssimazione sempre più esatta. Come espresso da Friedrich Engels nell’Anti-Dühring, la contraddizione “tra il carattere del pensiero umano, che ci sembra necessariamente assoluto, e la sua effettuazione in individui il cui pensiero non è che limitato” può essere risolta “solo per mezzo delle generazioni umane”[2], arrivando alla verità assoluta per mezzo dell’accumulo di verità relative che si susseguono nello sviluppo storico.

Dal punto di vista marxista è innegabile l’esistenza di una verità  oggettiva, che si riflette nel pensiero umano, come è innegabile che il carattere approssimativo delle nostre conoscenze goda di limiti sempre più vicini alla completa verità. In questo senso la dialettica marxista abbraccia il relativismo, ma senza limitarsi ad esso, ossia senza unire la comprensione della relatività di tutte le cose la negazione della verità oggettiva, ma affermando “la relatività storica dei limiti dell’approssimazione delle nostre conoscenze”[3] alla verità oggettiva. Ogni sistema di pensiero è quindi storicamente relativo, e riesce ad approssimarsi alla realtà all’interno di limiti determinati dalle circostanze materiali.

Il socialismo non è differente. Esso nacque cinquecento anni fa dai grandi utopisti dell’era moderna, che seppero unire la mai svanita immagine di una società egualitaria, reminiscenza del comunismo primitivo, alla prefigurazione di una piena emancipazione dell’essere umano, resa possibile dall’accelerazione impressa ai fenomeni storici dall’incipiente sviluppo capitalistico. Ma queste immagini, come i progetti di riforma universale della società che sarebbero stati varati, non erano che debolmente collegati alla realtà materiale, di cui non si comprendevano i processi di trasformazione.

Ma proprio sulla base di questa produzione si poté costruire l’analisi marxista, che vi unì i contributi dati dall’economia politica classica e dalla filosofia tedesca, creando così un formidabile strumento capace di portare a un grado maggiore di consapevolezza dei processi storici e della natura dello stesso universo. Il marxismo non è solo il frutto di menti geniali, ma è anch’esso un prodotto della Storia che non avrebbe potuto comparire se non in determinate contingenze e come tappa precisa del percorso dello sviluppo umano.

Non si tratta di una buona “intuizione”, di una formula per la società ideale che avrebbe potuto fare la propria comparsa nel mondo un millennio prima così come cinque secoli dopo, ma del frutto della maturazione di una certa coscienza data dalla trasformazione oggettiva del mondo materiale.

“La dottrina di Marx è onnipotente perché è giusta. Essa è completa e armonica, e dà agli uomini una concezione integrale del mondo”[4]: questa “onnipotenza” non è ricavata dal possesso di qualche verità esoterica o da una particolare benedizione divina, ma è data dal suo carattere scientifico.

Il marxismo è una scienza, e come tale si fonda sull’analisi della realtà materiale e storicamente evolve secondo un processo di maturazione che lo porta a una sempre maggiore aderenza alla realtà oggettiva e una sempre più raffinata capacità di descriverne la trasformazione. La traiettoria storica del marxismo può infatti essere vista come un percorso d’apprendimento fondato sul costante confronto con la realtà materiale, una lotta senza quartiere contro tutte le incrostazioni metafisiche e le influenze ideologiche reazionarie che gli ha permesso di catalizzare il processo di sviluppo umano, galvanizzando la lotta per l’emancipazione in ogni parte del globo e con risultati sempre più grandi e manifesti.

In primo luogo, il marxismo ha superato tramite l’analisi scientifica del capitalismo il socialismo cosiddetto “utopistico”, sottomettendo i  vari progetti di trasformazione sociale alle leggi oggettive dello sviluppo storico e riconoscendo la lotta di classe come base dell’evoluzione dialettica delle società umane.

Attraverso la riflessione sul potere politico e la necessità di una sua conquista da parte delle forze progressive del proletariato, il marxismo ha superato le deformazioni in senso anarchico e sindacalista del pensiero socialista. Con l’ingresso del capitalismo nella sua fase imperialista il marxismo è passato dalla riflessione sulla presa del potere alla sua concreta conquista.

La Rivoluzione d’Ottobre, resa possibile dal carattere di “anello debole” nella catena dell’imperialismo dell’impero zarista e dalla correttezza della linea politica dei bolscevichi, ha simbolicamente aperto l’era della rivoluzione socialista e proletaria, intesa non come singolo evento circoscrivibile a un dato paese, ma come salto qualitativo globale, processo concreto e oggettivo che coinvolge tutte le forze progressive e le oppone ai disperati sforzi reazionari di quelle regressive.

Il confronto con la realtà della gestione del potere e della costruzione del socialismo ha permesso al marxismo di compiere un’ulteriore tappa nel suo processo d’apprendimento, liberandosi dei lasciti utopistici presenti in certe minoranze legati al miraggio di una rapida instaurazione del “regno della libertà”, del dileguare del denaro, dei confini, dello Stato, del mercato e finanche delle varie nazionalità.

La costruzione del socialismo in Unione Sovietica liquidò le correnti trotskiste e “libertarie”, da quel momento in poi passate da essere tendenze errate all’interno del partito comunista a veri e propri strumenti anticomunisti dell’imperialismo.

Il grande merito di Lenin e del suo allievo Stalin non consiste solo nell’aver compreso, a differenza degli opportunisti della Seconda Internazionale, il nesso tra la rivoluzione democratica e quella proletaria, ossia come “la rivoluzione democratica borghese si trasforma nella seconda”, che “risolve cammin facendo  problemi della prima”[5], e che costruendo la dittatura del proletariato, “forma particolare dell’alleanza di classe tra il proletariato, avanguardia dei lavoratori, e i numerosi strati non proletari dei lavoratori”[6], ossia contadini e settori inferiori della borghesia, ma anche nell’avere impostato la questione nazionale e coloniale nella fase imperialista del capitalismo nella maniera più corretta, riconoscendo lo strettissimo legame tra la lotta della classe lavoratrice dei paesi avanzati dell’Occidente con quella dei popoli oppressi e subordinati agli Stati imperialisti.

Mao Zedong partì da questa base teorica per un ulteriore sviluppo teorico e pratico, dando un grande esempio di adattamento alle concrete condizioni nazionali delle verità universali del marxismo-leninismo, riuscendo tramite la guerra popolare di lunga durata, la tattica della “campagna che circonda la città”, l’applicazione della linea di massa e l’obiettivo strategico della creazione della Nuova Democrazia come passo verso il socialismo a guidare alla vittoria la più grande rivoluzione anticoloniale della Storia.

Il Pensiero di Mao Zedong, pur avendo, similmente al leninismo, una valenza internazionale indiscutibile, mostra un carattere decisamente cinese. Questo non solo in termini di «sinizzazione» del marxismo, ma anche in quanto primo esperimento originale di costruzione del socialismo in un contesto extra-europeo, risultato di processi di sviluppo non riducibili agli schematismi evolutivi eurocentrici che costituirono un limite anche per il marxismo-leninismo sovietico, per quanto in misura assai inferiore rispetto al messianesimo “social-sciovinista” occidentale delle correnti trotskiste e bordighiste[7].

La rivoluzione cinese ha dimostrato il carattere multilineare dello sviluppo storico umano, e ha rappresentato un fondamentale salto dall’internazionalismo astratto a una reale estensione globale dei processi rivoluzionari. La nazionalizzazione del marxismo è stata lo strumento essenziale per una sua reale internazionalizzazione.

L’approfondimento di questa dimensione specificatamente nazionale, necessario per rispondere alle questioni poste dalla costruzione del socialismo in Cina, portò alla sviluppo della Teoria di Deng Xiaoping, anch’essa ricca di contributi allo sviluppo globale della teoria socialista, non in ultimo luogo quelli legati al rapporto tra socialismo ed economia di mercato.

Come l’analisi leninista rispondeva alle questioni poste dall’epoca dell’imperialismo maturo, pronto a esplodere nella conflagrazione bellica del 1914-1918, così quella di Mao Zedong e di Deng Xiaoping rifletteva le trasformazioni in corso a seguito dello sviluppo del bipolarismo della Guerra Fredda e dell’ingresso degli Stati Uniti e di tutto il loro sistema in una fase di crisi progressiva e irreversibile. La maturazione di questo processo di decadenza ha portato direttamente alla fase attuale, quella della multipolarizzazione del mondo e della costruzione di una comunità umana dal futuro condiviso.

Il prodotto teorico dell’evoluzione del marxismo in questa nuova epoca è il Pensiero di Xi Jinping, vero “marxismo del XXI Secolo”, capace di affrontare correttamente e proficuamente le questioni poste dai nostri tempi e di assicurare all’edificazione di un ordine internazionale multipolare il rafforzamento della sua natura rivoluzionaria e progressiva tramite il ruolo guida dei comunisti.

Il Pensiero di Xi Jinping non è solo tra le principali bussole teoriche di quest’epoca, ma è anche il marxismo del periodo in cui inizia il definitivo superamento della fase imperialista del capitalismo a favore dell’evoluzione in senso socialista dell’intero Pianeta, nuova tappa fondamentale della rivoluzione proletaria iniziata nell’Ottobre del 1917.

Il multipolarismo e la globalizzazione rappresentano le due tendenze prevalenti dei nostri tempi. Il cammino d’evoluzione, apprendimento e auto-correzione del marxismo lo ha reso in grado di affrontare le sfide poste da ciò in maniera profonda e completa, come espresso massimamente dal Partito Comunista Cinese e dal suo Comitato Centrale con al centro il segretario Xi Jinping. Da Oriente a Occidente la multipolarizzazione del mondo è un fatto oggettivo e incontrastabile, e tutti, compresi i detrattori, non possono ormai che fare i conti con questo processo. Gli oppositori del multipolarismo, da destra e da “sinistra”, lo qualificano come un vero e proprio “assalto” delle autocrazie al cosiddetto “ordine internazionale basato sulle regole” di matrice liberale e americanocentrica, o al più come un semplice “cambio della guardia” all’interno dello stesso sistema di dominazione: concezioni sbagliate che dimostrano la totale subalternità alla penetrazione ideologica dell’imperialismo o la pervasività di certa falsa coscienza anche in ambienti “radicali”.

Allo stesso tempo vi sono diversi sostenitori del processo di multipolarizzazione del mondo che evidenziano solo la pars destruens, l’opera di liquidazione dell’egemonia statunitense, senza rilevare il profondo cambio di paradigma e l’ingresso in una fase inedita della Storia umana: una visione, per quanto sicuramente non errata, unilaterale e incapace di cogliere l’intera portata dei processi in corso.

L’analisi marxista, maturata nei suoi due secoli di sviluppo, è in grado di dare la lettura più esauriente dei processi che si svolgono sotto i nostri occhi nella loro complessità e direzionalità storica. Anche in questo senso il multipolarismo è inconcepibile senza il marxismo.

(Ogni Venerdì, per le prossime 8 settimane, vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo «Marxismo e Multipolarismo»)


[1] V. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Milano, Sapere Edizioni, 1970, p. 137.

[2] F. Engels, Anti-Dühring, Mosca, Progress, 1947, p. 52.

[3] V. Lenin, Materialismo ed empiriocriticismo, Milano, Sapere Edizioni, 1970, p. 110.

[4] V. Lenin, Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, in Prostvestscenie, n. 3, marzo 1913.

[5] V. Lenin, Per il quarto anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, in Opere scelte in due volumi, Vol. II, Mosca, Edizioni in lingue estere, 1948, p. 726.

[6] V. Lenin, Prefazione alla pubblicazione del discorso “Ingannare il popolo con slogan su libertà ed eguaglianza”, in Collected Works, Vol. XXIX, Mosca, Progress, 1965,  p. 381.

[7] La sbrigativa liquidazione del modo di produzione asiatico propria del marxismo sovietico contribuì alla secolare egemonia in tutto l’Occidente dell’idea di un’evoluzione storica lineare necessariamente fondata su tappe determinate unicamente dalla stessa esperienza storica europea. Lo schema schaivismo-feudalesimo-capitalismo-socialismo non solo si dimostra falso, ma una sua universalizzazione “occidentalizzante” non può che essere dannosa per la costruzione socialista proprio in quei contesti dove maggiormente ha dato frutti e speranze, ossia quelli esterni all’Occidente. Il riconoscimento della multilinearità dei processi di sviluppo è essenziale al fine di garantire all’analisi (e alla prassi) marxista una maggiore aderenza alla realtà e per sviluppare gli “anticorpi” necessari a prevenire qualsiasi degenerazione che, sotto la bandiera dell’intransigenza e dell’ortodossia, si faccia portatrice degli interessi imperiali di Washington.

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